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La DEI (Diversità, Equità e Inclusione) è tra i temi che più hanno permeato il marketing negli ultimi anni. Tra spot pubblicitari e campagne social, la triade, proveniente dall’inglese Diversity-Equity-Inclusion, ha conquistato terreno nel dibattito pubblico, risvegliando l’attenzione dei brand sia nell’offerta proposta che nell’advertising. 

Qui trovi un approfondimento che attraversa definizioni, approcci valoriali ed esempi.

Diversity, Equity and Inclusion: una definizione

La sigla DEI – Diversità, Equità e Inclusione – racchiude una rappresentazione più consapevole delle persone, nella loro individualità e nella società. La DEI nasce con l’intento di creare una società in cui nessuna persona si senta esclusa, trovi rappresentazioni di sé giuste e realistiche, e abbia le stesse opportunità di essere e diventare ciò che desidera. 

Per raccontarti cosa si intende per Diversità, Equità e Inclusione prenderemo in prestito le parole dell’autrice Sambu Buffa nel suo libro In chiave di Diversity, Equity and Inclusion edito da Flacowski. 

La diversità è l’insieme degli elementi che identificano una persona così com’è e come si sente.
L’equità si riferisce alla volontà e alla pratica di fornire risorse, trattamenti e opportunità giusti, tenendo conto delle diverse necessità delle persone. 
L’inclusione si traduce nel riuscire a soddisfare il bisogno di appartenenza per le persone che da sempre vengono escluse, non prese in considerazione e ascoltate, e nel come vogliamo far sentire queste persone.

Il loro insieme ambisce a scardinare il concetto di normalità intesa come consuetudine e regolarità, e ad abbattere stereotipi e comportamenti escludenti e marginalizzanti, dovuti a fattori culturali. 

Partendo da questi concetti, anche i brand hanno iniziato a cambiare le loro narrazioni allineandole ai valori di cui la DEI si fa portavoce. Le campagne online e offline hanno abbracciato le realtà di un pubblico sempre più diversificato, sbloccando nuove opportunità di crescita, coinvolgimento e fidelizzazione.  

Come è evoluto il marketing grazie alla DEI

Secondo il Diversity Brand Index di Omnicon PR Group, il 65% degli Italiani preferisce prodotti e servizi di realtà impegnate in progetti di DEI. E la presenza di aziende attente a questi temi aumenterà fino al 67,7% entro il 2027. 

Non è solo una scelta di facciata, ma la consapevolezza per i brand che è arrivato il momento di ascoltare le persone e connettersi con le loro necessità. Se finora solo un italiano su due si è dichiarato informato sulla DEI, con l’ingresso della GenZ nel mondo del lavoro e con l’aumento del loro potere di spesa, il panorama del mercato cambia completamente. 

I nati tra il 1997 e il 2012 fanno parte della generazione più diversificata del nostro tempo, in cui il forte senso sociale guida le loro scelte, dall’acquisto di un capo di abbigliamento all’azienda in cui lavorare. Le mille sfaccettature della GenZ rendono chiaro come sia cruciale impegnarsi oggi in un cambio di marcia, per attrarre e trattenere nel tempo una clientela affezionata ai brand per i valori condivisi e non solo per l’offerta. 

Le strategie di marketing etiche e vere, senza ombra di washing, possono aiutare le aziende a connettersi con le varie comunità e i pubblici nel loro mercato di interesse. Ciò non significa che in futuro dovranno cucire prodotti adatti “a tutti”, ma prendere in considerazione ogni possibile elemento differenziante come l’età, l’identità di genere, il colore della pelle, la cultura di provenienza, una disabilità fisica o cognitiva. 

La combinazione di queste caratteristiche definisce l’unicità di ogni persona e la allontana dal significato discriminatorio ed escludente finora attribuito alla diversità. Ciò che i brand hanno finalmente compreso è che la normalità non esiste. La standardizzazione è un costrutto sociale, come spiega bene Sambu Buffa nel suo libro. E i brand che si impegnano per scardinarlo avranno un grande vantaggio competitivo. 

Il marketing inclusivo […] riguarda proprio il modo di condurre le ricerche di mercato, di considerare il target, di creare prodotti o servizi pensati per più diversità – non riadattandoli, ma pensando a priori a tutte le diversità – e lo sviluppo di campagne pubblicitarie che non contengano e diffondano stereotipi, che restituiscano una rappresentazione sincera e non offensiva. 

Fonte: In chiave di Diversity, Equity and Inclusion – Sambu Buffa.

Esempi di brand che hanno abbracciato la DEI

Partendo proprio dalla citazione di Buffa, ti portiamo tre esempi di brand che da anni hanno dimostrato una perfetta integrazione della DEI nel loro marketing e nelle loro campagne online.

DOVE

Dove è stato tra i primi brand a puntare sull’inclusività. Nel celebre spot Sei più bella di quello che pensi, già 11 anni fa esaltava la bellezza di ogni corpo mettendo al centro un messaggio chiaro ed efficace: “C’è una grande differenza tra come ti vedi e come ti vedono gli altri”. Nel video un artista ritrae le protagoniste partendo dalle descrizioni di loro stesse. Lo fa senza conoscere il loro aspetto. Il risultato di ogni ritratto è più triste, spento e molto distante dalla loro reale fisionomia. Che emerge in tutta la sua bellezza nei ritratti che l’artista realizza guardandole in volto. 

Un altro messaggio potente arriva dall’ultima campagna di Dove. Tra le tematiche etiche più dibattute dal lancio di ChatGPT e dei suoi concorrenti, c’è proprio la distorsione della realtà esercitata dalle AI, che attingono a materiali ridotti, stereotipati e non inclusivi. Entro il 2025 le AI genereranno il 90% dei contenuti presenti online. Quale futuro ci aspetta in un mondo fatto di immagini tutte uguali? Dove ne prende le distanze impegnandosi a difendere la Bellezza autentica e a non distorcere, mai, l’immagine delle donne. 

ADIDAS

Nel 2022 ha lanciato la campagna I’m possible (richiamando il suo claim Impossibile is nothing). Adidas sfida le limitazioni culturali percepite coinvolgendo atlete di etnia, religione e corpi finora non correttamente integrati e rappresentati nel mondo dello sport e della moda. 

Come la cestista musulmana Asma Elbadawi, che ha ottenuto la rimozione del divieto di hijab dalla FIBA. La modella britannica Ellie Goldstein, che ha portato nella moda di lusso un volto con sindrome di down. O Momiji Nishiya, la prima vincitrice di una medaglia olimpica nello skateboard e tra le più giovani ad aggiudicarsi una medaglia nella storia della competizione a soli 13 anni.  

Ognuna di loro è possibile, semplicemente perché esiste, come milioni di altre persone. 

FENTY BEAUTY

Il brand di cosmesi fondato da Rihanna fin dal suo lancio è stato portatore di un messaggio inclusivo, legato ai corpi, all’età e alla loro rappresentazione. Il suo claim è “Beauty for all”, un mantra concretamente declinato in linee di make-up e per capelli adatte a ogni cliente. È la missione scritta in chiaro sul sito web: “Quello che è iniziato come un’idea, un desiderio, che ogni persona si sentisse davvero rappresentata, e non solo inclusa, ma celebrata, è diventata ora più grande di quanto avrei mai immaginato”. 

Fenty Beauty è l’esempio di come la conoscenza reale dei bisogni delle persone si possa tradurre in opportunità di business che incarnano l’ideale di rendere il mondo un luogo migliore per le generazioni attuali e future. Tutto è partito da un fondotinta: immagina come potresti cambiare tu il mondo con il tuo prodotto unico e inclusivo.

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